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Autonomia differenziata, una legge spaccaitalia

Cosa prevede la legge 26/2024 e quali rischiano di essere le conseguenze

È stata approvata il 26 giugno la legge n. 26 «Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione». Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n.150 due giorni dopo, entrerà in vigore dal 13 luglio 2024.

Cosa prevede?

Le Regioni italiane a statuto ordinario potranno chiedere regole proprie su 23 materie. In 11 articoli, infatti, il provvedimento definisce le procedure legislative e amministrative per l’applicazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, che prevede appunto che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia […] possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119“.

La legge arriva oltre 20 anni dopo la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, che ha esteso in maniera decisiva i poteri delle regioni, cui è riconosciuta ampia autonomia statutaria, legislativa, organizzativa e finanziaria, in particolare, con due articoli:

  • Art. 114: pone sullo stesso piano, come entità costitutive della Repubblica, i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato.
  • Art. 117: specifica 17 competenze esclusive dello Stato e lascia esplicitamente alle regioni «la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato» e introduce le «competenze concorrenti»: materie su cui entrambi possono intervenire, sui cui «spetta alle Regioni la potestà legislativa» ma rimane allo Stato la «determinazione dei princìpi fondamentali».

Le tempistiche

  • 24 mesi dall’entrata in vigore della legge (quindi dal 13 luglio 2024) il tempo entro il quale il governo nazionale dovrà varare uno o più decreti legislativi per determinare livelli e importi dei Lep.
  • 5 mesi il tempo che Stato e singole Regioni avranno, dalla richiesta dell’ente istituzionale, per arrivare a un accordo.
  • 10 anni la durata massima delle intese. Potranno essere rinnovate o interrotte prima della scadenza da Stato o Regione con preavviso di almeno 12 mesi.

Le materie dell’autonomia differenziata

  • Rapporti internazionali e con l’UE delle Regioni
  • Commercio con l’estero
  • Tutela e sicurezza del lavoro
  • Istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche
  • Professioni
  • Ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi
  • Tutela della salute
  • Alimentazione
  • Ordinamento sportivo
  • Protezione civile
  • Governo del territorio
  • Porti e aeroporti civili
  • Grandi reti di trasporto e di navigazione
  • Ordinamento della comunicazione
  • Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia
  • Previdenza complementare e integrativa
  • Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario
  • Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione attività culturali
  • Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale
  • Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale
  • Organizzazione della giustizia di pace
  • Norme generali sull’istruzione
  • Tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali

I Lep

Prima di riconoscere una o più “forme di autonomia”, lo Stato deve definire i Lep, ossia i criteri che determinano il livello di servizio minimo che deve essere garantito in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. Il Lep sono previsti per 14 materie. Lep, costi e fabbisogni standard vengono determinati sulla base di una ricognizione della spesa storica dello Stato in ogni Regione nell’ultimo triennio. Non è previsto quindi un adeguato coinvolgimento del Parlamento né alcuna riflessione seria su quali diritti debbano essere universalmente garantiti, ma non si fa altro che cristallizzare la spesa storica come criterio di valutazione.
Inoltre non sono previste né risorse aggiuntive, né previsti fondi e strumenti di perequazione.

Perché è una legge spaccaitalia?

L’autonomia differenziata frantuma l’Italia in tante piccole patrie, tenute insieme dalla donna o dall’uomo sola/o al comando – secondo il progetto del premierato. Differenzia i diritti secondo il luogo di nascita, aumentando i divari territoriali e le diseguaglianze sociali e mettendo a rischio servizi e tutele per le cittadine e i cittadini.

In particolare, per il sistema sanitario pubblico è l’ennesimo colpo: già aver delegato la salute alle Regioni ha prodotto 20 sistemi regionali diversi, con diversi livelli di qualità di assistenza sanitaria. Sarà ulteriormente incentivata la privatizzazione e sarà ridimensionato il welfare universalistico.

Per gli anziani, in particolare, i rischi sono altissimi: la popolazione anziana, sempre più in crescita, va incontro a cronicità ed è la più esposta, perché ha bisogno di sanità pubblica e welfare universalistico. Già oggi la spesa sociale e la presa in carico delle persone fragili non sono uguali in tutto il territorio.

Diverse le conseguenze negative in molti ambiti della vita del paese: innanzitutto viene colpito il carattere pubblico e nazionale dell’istruzione; si indebolisce ulteriormente la prevenzione degli incidenti sul lavoro e saranno messi in discussione i contratti collettivi nazionali di lavoro. Mancherà una politica unitaria industriale e di sviluppo e le Regioni non avranno gli strumenti per affrontare transizione digitale e conversione ecologica.

Nel contesto internazionale, rischiamo di presentarci nel contesto europeo non come uno Stato unito e forte, ma come un nano politico ed economico.

Il referendum abrogativo

Per tutte queste motivazioni, oggi è stato depositato in Cassazione il quesito referendario abrogativo della legge 26/2024, detta legge Calderoli, promotori Cgil, Uil, i partiti di opposizione e diverse associazioni come Legambiente, Anpi, WWF, La Via Maestra, Libera, Arci, Acli. Per indire il referendum serviranno 500.000 firme o la richiesta di 5 consigli regionali – si sono già attivate Emilia Romagna, Toscana, Campania, Puglia e Sardegna.

La sfida poi sarà portare 25 milioni di italiani e italiane alle urne per raggiungere il quorum.

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