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Cura delle cronicità, chiave di volta delle società che invecchiano

L’allungamento della vita media, che di per sé testimonierebbe un progresso di salute pubblica, può rappresentare, invero, una grande sfida per la tenuta del sistema sanitario, al punto da diventare una minaccia se il guadagno degli anni di vita via via alimentasse solo quelli da vivere in precarie condizioni di salute”.

L’aggiornamento al 2024 del Piano nazionale delle cronicità mette in rilievo come l’assistenza sanitaria agli anziani rappresenti la chiave di volta del futuro delle società italiana, europea e occidentale in generale.

Secondo l’Osservasalute (2019) si stima che, nel nostro Paese nell’ambito dell’assistenza sanitaria di base, si spendano, complessivamente, circa 66,7 miliardi per la cronicità; stando alle proiezioni effettuate da Istat, sulla base degli scenari demografici futuri e ipotizzando una prevalenza stabile nelle diverse classi di età, nel 2028 spenderemo 70,7 miliardi di euro.

La presa in carico e la gestione delle malattie croniche assorbe circa l’80% dei costi sanitari.

I dati indicano che 5,5 milioni di Italiani con 15 anni o più hanno 3 o più patologie non gravi (10,6% della popolazione con 15 anni o più), 2,8 milioni hanno al massimo 2 malattie croniche, di cui almeno una grave (5,3%) e 6,1 milioni hanno almeno 3 patologie incluse quelle gravi (11,7%).

Questi numeri assumono ancora più rilevanza nella popolazione anziana. Il report Istat “Le condizioni di salute della popolazione anziana in Italia” riporta che nel 2019, più di un anziano su due, sopra i 65 anni, (circa 7 milioni di persone) presentava almeno tre patologie croniche. Questa quota raggiunge i due terzi negli ultra-ottantacinquenni, con una percentuale più elevata tra le donne.

Circa il 15% della popolazione anziana non riferisce alcuna patologia cronica (17,4% tra gli uomini e 13,3% tra le donne), mentre il 43,2% dichiara di soffrire di almeno una patologia grave (tumore maligno, ictus, Alzheimer e demenze, malattie cardiache, incluso infarto o angina, diabete, parkinsonismo, malattie respiratorie croniche), di cui il 46,1% tra gli uomini e 41,1% tra le donne. Il 32,3% combina la presenza di multimorbilità che include almeno una delle patologie gravi evidenziate e nel 35% dei casi si tratta di persone che vivono sole.

Dal lato dell’assistenza primaria, i dati raccolti dai Medici di Medicina Generale (MMG) riferiscono che mediamente in un anno si spendono 1.500 euro per un paziente con uno scompenso cardiaco congestizio, che assorbe il 5,6% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 4,0% delle richieste di visite specialistiche e il 4,1% per le prescrizioni di accertamenti diagnostici. Circa 1.400 euro annui sono assorbiti invece da un paziente affetto da malattie ischemiche del cuore, il quale è destinatario del 16,0% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, del 10,6% delle richieste di visite specialistiche e del 10,1% degli accertamenti diagnostici. Quasi 1.300 euro vengono spesi per un paziente affetto da diabete tipo 2, il quale assorbe il 24,7% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 18,5% delle richieste di visite specialistiche e il 18,2% degli accertamenti diagnostici. Un paziente affetto da osteoporosi costa circa 900 euro annui, poiché è destinatario del 40,7% delle prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, del 35,0% delle richieste di visite specialistiche e del 32,0% degli accertamenti diagnostici. Costa, invece, 864 euro un paziente con ipertensione arteriosa che assorbe mediamente in un anno il 68,2% di tutte le prescrizioni farmaceutiche a carico del SSN, il 52,2% delle richieste di visite specialistiche e il 51,7% degli accertamenti diagnostici.

Le malattie croniche rappresentano la principale causa di morti premature evitabili e disabilità, compromettono la sostenibilità dei sistemi sanitari e la prosperità sociale. Oltre a rappresentare la maggior parte della spesa sanitaria dei Paesi, con un costo annuo per le economie dell’UE di 115 miliardi di euro, pari allo 0,8% del PIL, le malattie croniche minano anche lo sviluppo economico nazionale, causando perdite di produzione e produttività.

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